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domenica 13 ottobre 2013

Il nome sacro di Maria nella toponomastica italiana

Un parrocchiano della Parrocchia di San Lino, ex-dipendente ora pensionato della sicurezza vaticana, mi ha dato negli ultimi anni copia di un suo articolo per l'Osservatore Romano sulla "toponomastica mariana" in Italia. Credo che sia un fatto culturale degno di nota, perciò riporto elettronicamente anche questo articoletto:

E' noto come una chiesa, un culto, una reliquia o anche una sosta missionaria fin dall'avvicendarsi delle invasioni barbariche, possano essere state le origini del nome sacro di un centro abitato o di altro agglomerato urbano. Questi nomi servivano a tenere uniti tutti gli abitanti sia quelli raggruppati nelle vallate quando salivano ai monti per fortificarsi, sia quelli riuniti sui monti quando scendevano a valle per ampliare i loro lavori agricoli.
Si evidenzia così come la toponomastica sacra abbia reso, e renda nel tempo, un largo contributo al nome di coloro che vissero intorno a Cristo. La frequente distribuzione di questi nomi sacri trova soprattutto ampio riferimento al culto mariano con la diffusione del nome di «Maria» la madre di Gesù.

Una devozione straordinariamente diffusa
Pur essendo a tutti noto che la Vergine di Nazareth non sia mai venuta in Italia, un excursus storico geografico mette in risalto come in questa nazione sia sempre stata straordinariamente diffusa la devozione mariana evidenziata anche dalle risultanze numeriche statistiche della diffusione di questo sacro toponimo nel nostro territorio.
A confermarlo sono le ricerche del mariologo Stefano De Fiores e quelle sui santuari del nostro Paese di Domenico Marcucci che ci fanno ben ritenere come in Italia la Madonna sia di casa.

Panoramica storica e geografica
Infatti queste statistiche appresso sintetizzate ci informano che:
— in Piemonte i toponimi mariani sono oltre 250 dei quali tre sedi di comuni: Madonna del Sasso, Mosso Santa Maria, Santa Maria Maggiore, mentre l'unico comune della Valle d' Aosta con attributo mariano è Rhêmes Notre-Dame;
— in Lombardia questi toponimi sono oltre 200 di cui i maggiori: Santa Marta della Versa, Santa Maria di Rovi-gnate, Santa Maria Rezzonico e Torre Santa Maria. Soltanto 11 invece, sono i toponimi riferiti a Maria in Trentino-Alto Adige, 70 nella Venezia Euganea e 20 in Friuli- Venezia Giulia;
— la Liguria ne registra oltre una cinquantina relativi a minuscoli centri, mentre in Emilia-Romagna si arriva a 120 toponimi mariani con uno tra i più noti: la Madonna di S. Luca a Bologna. In Toscana i siti con nomi mariani arrivano a 125 di cui uno solo — nel pisano — è comune: Santa Maria a Monte. Similmente nelle Marche solo Santa Maria Nova è comune tra i 190 centri minori in questa regione riferiti a Maria;
— per l'Umbria i nomi di questi luoghi mariani sono 100 con un unico comune: Santa Maria Tiberina. Al primo posto tra le regioni italiane senza dubbio il Lazio dove si contano 260 toponimi dedicati alla Vergine. A Roma il forte attaccamento alla Madonna è stato sempre dimostrato anche dalla iconografia delle numerose aediculas che fin dal Medio Evo erano sistemate agli angoli degli edifici;
— in Abruzzo e in Molise Maria è nominata in 170 centri di cui 4 comuni: Rocca Santa Maria, Sante Marie, Santa Maria in Baro, Villa Santa Maria. In Puglia invece, sono 110 i siti mariani ed in Basilicata i toponimi dedicati alla Vergine arrivano a 66, mentre in Calabria se ne contano 70 con quello della Madonna della Catena presso Cosenza. Compreso nella provincia di Cagliari in Sardegna, vi è il comune Domus de Maria a completare gli altri 35 di questa regione. Nell'altra isola la Sicilia, il nome di Maria è ricordato in 120 luoghi tra i quali Santa Maria di Licodia sede comunale.

Testimonianze di fede popolare
Da questo ricercato e dettagliato calcolo sui toponimi dedicati in Italia alla Vergine Maria, si deduce come in proporzione alla superficie e alla popolazione di ogni regione questo toponimo sacro sia: 
forte nel Lazio, Umbria, Marche, Abruzzo e Puglia ma maggiormente in Basilicata;
medio alto nelle due isole maggiori, in Campania ed in Calabria;
modesto nel nord-orientale anche se piu consistente in Piemonte.
Queste statistiche evidenziano pertanto come in Italia risalti una fortissima tendenza al prevalere della fede popolare e spicciola non imposta, come un concreto e spiccato attaccamento devozionale etnico e religioso tipico delle classi socialmente meno elevate. Di questo tutti, volenti o nolenti, debbono compiacersi non tanto per la classifica numerica bensì per il significato da questa emerso che fa dedurre come «l'Italia si chiama Maria».
Padre Mariano, il popolare cappuccino che da religioso scelse il nome suo dedicandolo a Maria, nel 1954 asseriva: «Un uomo il quale sappia chi è Maria e voglia rendersi conto dello stupore che in lui suscita questa donna unica nella storia, passa di sorpresa in sorpresa... Ella è certissimamente un personaggio storico... È la donna più raffigurata nell'arte, la bibliografia mariana è sterminata, il nome di Maria è il più frequente fra le donne cristiane, il popolo cristiano la invoca, la prega, la nomina continuamente».
Tutto questo certamente aiuta a percepire quanto il «senso» di Maria sia valso, valga e varrà per tutti quelli che sulla terra sono comunque ricorsi a Lei Consolatrice e Madre: questo è il nome che ne costituisce la sintesi più significativa.
BRUNO LUTI

sabato 12 ottobre 2013

Nel prete la gente ha la speranza di "vedere" Cristo

Propongo alla vostra lettura una paginetta con un pensiero significativo di Papa Giovanni Paolo II sulla spiritualità sacerdotale. E' tratto dalla lettera indirizzata dal Papa ai sacerdoti per il Giovedì Santo, quando era ancora ricoverato al Policlinico Gemelli.

«Dal Policlinico Gemelli in Roma, 13 marzo [2005], 5a domenica di Quaresima..., 27° di Pontificato». Con questa "inedita" data si conclude la tradizionale lettera che il Papa invia ai sacerdoti per il Giovedi Santo. «Il mio pensiero viene a voi, sacerdoti, mentre trascorro un periodo di cura e di riabilitazione in ospedale, ammalato tra gli ammalati, unendo nell'Eucaristia la mia sofferenza a quella di Cristo». Ne proponiamo alcuni passaggi.

Un'esistenza profondamente "grata" 
«In ogni messa — dice il Papa ai sacerdoti— ricordiamo e riviviamo il primo sentimento espresso da Gesù nell'atto di spezzare il pane: quello del rendimento di grazie». «in particolare, per il dono della fede, della quale è diventato annunciatore, e per quello del sacerdozio, che lo consacra interamente al servizio del Regno di Dio».

Un'esistenza "donata"
Il sacerdote, prosegue il Papa, a imitazione di Cristo sulla croce, «deve imparare a dire, con verità e generosità: "Prendete e mangiate". La sua vita, infatti, ha senso se egli sa farsi dono». «Obbedendo per amore, rinunciando magari a legittimi spazi di libertà..., il sacerdote attua nella propria carne quel “prendete e mangiate” con cui Cristo, nell'Ultima Cena, affidò se stesso alla Chiesa».

Un'esistenza "salvata" per salvare
Come «essere efficacemente annunciatori privilegiati» della salvezza, «senza sentirci noi stessi salvati?». Noi per primi siamo impegnati a «progredire nel cammino di perfezione», se vogliamo essere «annunciatori credibili della salvezza».

Un'esistenza "memore"
«L'Eucaristia - afferma il Papa - non ricorda semplicemente un fatto: ricorda Lui!». In un tempo in cui i rapidi cambiamenti culturali e sociali allentano il senso della tradizione, «il sacerdote è chiamato ad essere... l'uomo del ricordo fedele di Cristo e di tutto il suo mistero».

Un'esistenza "consacrata" 
«Dal nostro rapporto con l'Eucaristia - spiega il Papa - trae il suo senso più esigente anche la condizione "sacra" della nostra vita. Essa deve trasparire da tutto il nostro modo di essere, ma innanzitutto dal modo stesso di celebrare... Stare davanti a Gesù Eucaristia, approfittare, in certo senso, delle nostre "solitudini" per riempirle di questa Presenza, significa dare alla nostra consacrazione tutto il calore dell'intimità con Cristo, da cui prende gioia e senso la nostra vita».

Un'esistenza protesa verso Cristo
«Il sacerdote è uno che, nonostante il passare degli anni, continua ad irradiare giovinezza. Soprattutto nel contesto della nuova evangelizzazione, ai sacerdoti la gente ha diritto di rivolgersi con la speranza di "vedere" in loro Cristo. Ne sentono il bisogno in particolare i giovani», che Cristo continua a chiamare a sé per farseli amici e pér proporre ad alcuni la donazione totale alla causa del Regno.

Un'esistenza alla scuola di Maria 
«Chi più di Maria può farci gustare la grandezza del mistero eucaristico?». «La imploro, dunque, per tutti voi, le affido. specialmente i più anziani, gli ammalati, quanti si trovano in difficoltà».

venerdì 11 ottobre 2013

L'Immacolata Bellezza Creata Perfetta

Vi regalo qualche considerazione spirituale sull'Immacolata, con elementi di filosofia, che ho elaborato nel lontano anno giubilare, mentre stavo ancora in seminario. Mi è ricapitato ora tra le mani e approfitto per metterlo nel mio "archivio elettronico".


Roma, martedì 29/08/2000

Chi sei tu, O Immacolata? Sei la Sposa dello Spirito Santo, e quindi sei tutta bella. Sei la Rosa Mistica. Se guardiamo alla bellezza di un fiore, è una bellezza molto limitata, per quanto possa suscitare in noi ammirazione e contemplazione, per il fatto che è una bellezza creata. In quanta creata, non è né può essere una bellezza assoluta. E’ soltanto una bellezza relativa, perché il creato in quanto tale è relativo, in quanto è intrinseca al suo essere la sua relazione con il Creatore. La bellezza del fiore è soltanto un vago assaggio della bellezza assoluta che è Dio stesso, e dal quale deriva ogni bellezza creata. Egli è l’autore della bellezza, Egli è la bellezza increata dalla quale promana ogni bellezza come il profumo dal fiore. Il profumo non è il fiore, e il fiore è molto di più rispetto al profumo che produce, eppure il profumo ci permette di accorgerci della sua presenza, ci conduce al fiore, ci introduce alla sua conoscenza e ci fa godere del fiore. La bellezza creata è relativa al Creatore dal quale proviene, e questa relazione viene detta “creazione”. Il creato ci rimanda al Creatore; la bellezza creata ci rimanda alla bellezza increata dalla quale essa proviene. La bellezza increata è infinita, perfettissima, assoluta, creatrice. Vi sono dei misteri sublimi racchiusi in queste relazioni. In ogni relazione, vi sono due correlati. Ciascun correlato è relativo all’altro, è in relazione con l’altro, e insieme sono “co-relati”, relativi l’uno all’altro. La correlatività si fonda sulla relazione che sussiste tra i due correlati. Pertanto la “relazione” implica limitazione. Un correlato non è assoluto, perché implica l’altro correlato. Ciò che è assoluto, invece, non implica altro, proprio perché è “ab-solutus” ossia “sciolto da” ogni limite, non ha quindi un correlato ma piuttosto basta a se stesso, è già completo di suo. Ciò che è “assoluto” non ha limite. “Limite” (lat. “limin”) impica una soglia; la “soglia” è il ponte tra due correlati. Come la soglia all’ingresso di una casa, la quale mette in relazione l’interno della casa con l’esterno. Una volta che c’è la soglia, l’interno della casa implica che ci sia un esterno. Se invece non c’è la soglia, allora non c’è il “limite”, e non c’è relazione tra correlati. Una entità senza soglia (senza limite) è un’entità assoluta, sciolta da relazione con un’altra entità. Ogni relazione pertanto implica che ci siano dei limiti, che ci siano soglie, che ci sia quello spazio che mette un correlato in relazione con l’altro correlato.
Pensiamo al significato della “assoluzione” sacramentale. Nell’assoluzione sacramentale, il penitente viene perdonato dal suo peccato, viene sciolto dal suo limite. Il peccato è un limite per l’uomo, nel senso negativo del termine; il peccato limita la libertà, e la fa regredire. Invece chi è senza peccato o macchia di peccato, chi è “immacolato”, non conosce il limite del peccato, e la sua libertà è maggiore. “Tutto posso in Colui che mi dà forza, attraverso l’Immacolata” diceva San Massimiliano Kolbe, citando l’Apostolo. “TUTTO posso”. Non qualcosa, ma tutto. In latino si direbbe “omnia possum”, e possiamo derivare un aggettivo corrispondente “omnipotens sum”. Sono “onnipotente” in Colui che mi dà la forza. Rimanere in Lui, l’Onnipotente Signore, mi rende onnipotente. Il processo di unificazione in Lui toglie ogni soglia che ci divide da Lui, toglie ogni limite al nostro essere in Lui. La soglia da una parte mette in relazione; dall’altra parte divide. Fa sì che un correlato non sia l’altro correlato, fa sì che i correlati siano distinti tra loro. Ciascun correlato, sebbene relativo all’altro è anche estraneo all’altro. Invece chi rimane in Lui, non è né straniero (estraneo) né ospite, ma piuttosto amico e familiare di Dio.
Qual’è però il grande mistero della relazione tra il creato e il Creatore, tra la bellezza creata e la Bellezza increata? Ravviso un grande mistero nel fatto che la Bellezza increata è creatrice. Nel creare, si crea relazione. Se da una parte il creato è relativo al suo Creatore, non è anche vero che Il Creatore non è più del tutto assoluto, ma è anche Lui relativo al suo creato? Ecco il mistero della creazione. La creazione non ha spiegazione logica, l’Assoluto non aveva motivi per rendersi Relativo. Creando, l’Assoluto si rende Relativo al creato, quasi rinunciando al suo essere Assoluto.
E la creatura non può che tremare al pensiero di avere un correlato che è Assoluto. Sebbene il pensiero che il suo correlato sia il Creatore Assoluto lo porti a cadere in ginocchio con le lacrime agli occhi, con una riconoscenza infinita (o meglio mai sufficiente, perché tale relazione con il Creatore esalta la creatura in un modo inconcepibile all’intelletto umano, in quanto la bellezza della creatura è un profumo divino), dall’altra parte lo stupore cresce vertiginosamente al pensiero che il correlato della Bellezza Assoluta sia lei stessa, creatura. Questo pensiero infonde timore, quasi timore di essere e di porre un limite alla Bellezza Assoluta. Eppure non è stata la creatura a scegliere ciò, è stato il Creatore a volerlo. Entrando in relazione con la sua creatura, sembrerebbe rinunciare al suo essere Assoluto, eppure rimane tale… Quale meraviglia! Sono misteri incomprensibili all’intelletto umano. Il Creatore Assoluto ci fece comprendere attraverso il suo Verbo che Egli è Amore, e l’Amore non conosce la logica degli uomini. “I miei pensieri non sono i vostri pensieri”. Ed ecco che di fronte alla Rivelazione dell’Amore ogni timore si scioglie in infinita riconoscenza e corrispondenza d’amore, per quanto ciò sia possible, perché ogni nostro amore è comunque creato e quindi limitato. Lui solo è l’Amore Assoluto, supremo, increato. Il perché della creazione non trova risposta se non nell’Amore increato. Dio è Creatore perché Dio è Amore. Il fiore può avere bellezza perché la Bellezza Assoluta è Amore, e quasi rinuncia ad essere la Bellezza Assoluta pur di condividere la sua bellezza con una creatura. Si china sulla creatura per darle della sua Bellezza, eppure non perde nulla della propria Bellezza nel donarla.
L’Immacolata è tutta bella, è il vertice della bellezza creata. Ma la linfa che dà vita e bellezza a questa mistica Rosa è lo Spirito Santo. Egli la vivifica, le comunica la sua vita divina. L’umano intelletto si china di fronte a tale mistero, nel quale la bellezza della creatura si confonde con la Bellezza del Creatore quasi da non potersi più distinguere. La bellezza della Rosa Mistica è una bellezza creata che è tutta piena della bellezza increata. Tutta bella sei, o Maria, e macchia di peccato originale non è in te!
Se lei è il vertice dell’amore creato e della bellezza creata, possiamo dire che lei è la somma di tutto l’amore creato? Possiamo dire che è una bellezza “perfettissima”? Ciò che è imperfetto è “in potenza”, mentre ciò che è perfetto è “in atto”. “Perfetto” significa, nel pensiero dei filosofi, ciò che è compiuto e realizzato, mentre ciò che è in potenza si deve ancora realizzare. Ciò che è perfetto non conosce nemmeno quel “atto della potenza in quanto tale”, ossia in quanto ancora in potenza, che viene chiamato il “divenire”. Ciò che è perfetto, è “in atto” e non è più “in potenza”. Ciò che non è più “in potenza”, ciò che è perfetto, si potrebbe quasi dire “impotente”, ossia non affatto “in potenza”. Dio è l’Essere perfetto, eppure è Potente, anzi è l’Onnipotente, la sua Potenza non conosce limite. Eppure sembrerebbe che la “potenza” limita la “perfezione”. Dio sembra essere Perfetto, e allo stesso tempo quasi “in divenire” perché Potente. In Dio gli opposti si conciliano. Solo l’Amore può conciliare gli opposti.
John R. D'Orazio

giovedì 10 ottobre 2013

Arrivederci in cielo

Un altro foglietto che conservo da un po' di tempo, e che ho piacere di riportare elettronicamente per eliminare la carta, è un utile approccio pastorale alle persone che vivono il dolore della morte di una persona cara. Si tratta di un "decalogo" di consigli per vivere al meglio questo momento delicato di dolore umano, sorretti dalla fede. L'elenco di consigli è stato elaborato credo da Mons. Luciano Pascucci, o comunque lui lo ha rigirato a noi giovani sacerdoti ad un incontro di formazione permanente del clero:


ARRIVEDERCI IN CIELO
(Decalogo per quando muore una persona cara)
1. Con la morte della persona amata è come se fosse tolto il terreno sotto i piedi. Ma anche se le lacrime sono inesauribili, anche se non ti senti la terra sotto i piedi, non sprofondare al di sotto delle mani di Dio. Puoi abbandonarti alle tue lacrime, nella certezza che le sue mani ti tratterranno amorevolmente. Non andrai a fondo. Il lutto ti può trasformare, può farti conoscere la profondità della tua anima.
2. Non meravigliarti se nel periodo del lutto affiorano anche sentimenti di rabbia e di collera. Dà spazio alla disperazione. Esprimila! Parlane con le persone che ti sono vicine, offrila a Dio nella preghiera. Porgi a Dio il tuo cuore ferito perché possa essere guarito dalla sua amorevole vicinanza. Non trattenere le lacrime. In questo modo impedisci che il tuo dolore venga elaborato, trasformandosi in una vita nuova che può germogliare in te. Lascia che il dolore fluisca. Esso cesserà, si trasformerà e ti introdurrà in una nuova gioia di vivere. Làsciati andare al ritmo del tuo dolore: non sottoporlo alla pressione di superarlo prima di quanto sia bene per la tua anima. Ma nel dolore confida nelle parole della Scrittura: “Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi. Non ci sarà più la morte, né lutto, né pianto, né dolore...”.
3. Non preoccuparti se nel periodo del lutto la tua preghiera si trasformerà in lamento. Oggi abbiamo cancellato il lamento dalle nostre preghiere. Possiamo chiedere ragione a Dio: "Perché mi hai fatto questo? Che senso ha? In fondo siamo una buona famiglia.. Perché ci tratti in questo modo?" Abbi il coraggio di lamentarti!

4. Rinuncia anche a incolparti, a rimproverarti e a dilaniarti con sensi di colpa. "Non avrei dovuto trattarlo diversamente? Ho avuto cura di lui? Che cosa ho trascurato nei suoi confronti?" Offri la tua colpa a Dio e confida nel suo perdono totale. Devi avere fiducia che anche la persona defunta ha perdonato tutto. Ora si trova presso Dio e vicino a lui è in pace. Anzi vorrebbe che tu partecipassi della sua pace. 

5. Quando ripensi al tuo caro defunto, non fermarti a ricordare i singoli fatti. Chiediti qual'è il messaggio che avrebbe voluto portarti. Questo è certamente ciò che Dio voleva e vuole dirti per mezzo suo. Quando pensi alla persona cara venuta a mancare, i tuoi pensieri non devono essere rivolti al passato. Chiedi anche alla persona defunta che cosa vorrebbe dirti oggi, prega di indirizzarti verso ciò che è veramente importante per la tua vita. Potrebbe anche invitarti a inserire la morte nel tuo progetto di vita. Pensare alla morte non deve amareggiarti la vita, ma aiutarti a vivere in modo più vigile e consapevole.
6. Un modo per riempire di significati il tuo lutto è quello di pregare per il defunto. Puoi pregare affnchè nell'incontro con Dio egli si abbandoni completamente tra le sue braccia e si lasci avvincere dal suo amore e dalla sua misericordia, perché si affidi a Dio e possa cosi sperimentare la sua gloria. La tua preghiera è l'ultimo atto di amore per il tuo caro defunto, è un intercedere perché la sua morte abbia buon esito, perché non sia tutto finito con il momento ultimo della sua vita terrena. Ma la tua preghiera deve anche essere improntata alla riconoscenza. Devi ringraziare Dio perché ti ha fatto dono di questa persona. Nella preghiera sperimenterai una nuova forma di comunione con il defunto. Il morto si trova ora presso quel Dio al quale tu ti rivolgi. Se nella preghiera tu avverti la vicinanza di Dio, insieme a lui puoi sentire anche la vicinanza del tuo congiunto. Ogni volta che partecipi alla Messa puoi essere certo di prendere parte alla liturgia celeste, all'eterno inno di lode che tutti i cari defunti innalzano incessantemente in cielo.
7. Puoi pregare per il defunto. Ma puoi anche rivolgerti a lui, anche se giovane. Prega la persona defunta che ti accompagni lungo il tuo cammino, che ti protegga dai passi falsi, che ti dica che cosa conta nella tua vita. Essi si trovano presso Dio e, in Dio, sono vicini anche a te. Scopo del lutto è quello di stabilire una nuova forma di relazione con il caro defunto. Nella preghiera avvertiamo il morto come nostra guida interiore. Così ti accorgerai che la relazione con il caro congiunto non è stata troncata, ma soltanto trasferita su un altro livello. Pregalo e, in Dio, egli percorrerà insieme a te tutte le strade.
8. Come Cristo anche le persone care ci preparano l'abitazione presso Dio. Quando una persona cara muore, prende con sé e porta a Dio tutto ciò che ha condiviso con noi: i dialoghi, l'amore, le varie esperienze... Una parte di noi viene portata a Dio, è già presso Dio. Quando moriremo non finiremo in una regione sconosciuta, ma nell'abitazione che Cristo e le persone da noi amate, che ci hanno preceduto nella morte, hanno preparato per noi. Lì troveremo la nostra abitazione definitiva e ci sentiremo per sempre a casa. Ci rivedremo nell'eternità. Rivedremo le persone che abbiamo amato sulla terra. L'amore che hai vissuto non morirà. "Amare significa dire all'altro: tu non morirai!" (Claudel). Anche nell'eternità, presso Dio, tu continuerai ad amare le persone che hai amato sulla terra, ma le amerai in un modo nuovo e attualmente incomprensibile. Sarà un amore senza malintesi e senza gelosia, un amore puro che gioisce per la presenza dell'altro... un amore divino che ti congiunge contemporaneamente a Dio e alla persona amata.
9. Al cospetto della morte di una persona cara sei invitato a trascendere la vita terrena. Il tuo desiderio del cielo ti permetterà di elevarti al di sopra di questo mondo, che non è tutta la realtà. In te c'è qualcosa che va oltre, che è già in cielo. Questa fiducia ti libera dal peso di questa vita e ti dona la libertà divina dell'eternità.
10. La morte porta con sé dolore e sofferenza, come la nascita. Ma, quando la nascita è avvenuta, regna una gioia che nessuno ci può togliere. Anche l'elaborazione del lutto è come la nascita di una nuova vita in te. E' piena di sofferenze e di timori. Spesso è buia come il percorso del parto. Sembra volerci afferrare alla gola. E' una strada stretta e tormentosa. Ma, una volta che l'abbiamo percorsa sino in fondo, il nostro cuore si allarga e vediamo una nuova luce che ci illumina. Io ti auguro di attraversare il tuo dolore pieno di fiducia.

mercoledì 9 ottobre 2013

Roveto ardente a lode di Dio

Ancora rovestando carte nel trasloco, mi capita questo foglio che suppongo provenga possibilmente da una giornata di ritiro presso il Teresianum, ma non ne sono sicuro. L'autore è L. A. Lassus, una riflessione sulla spiritualità della inabitazione della Santissima Trinità nell'anima:


Roveto ardente a lode di Dio
di L. A. Lassus
L'universo intero, la sua potenza, la sua bellezza, la stupefacente prodigalità degli esseri,. il formidabile pullulare di formule e di colori è l'inno grandioso dell'Essere-Festa di Dio, l'esplosione del Verbo e dell'Amore "che muove il sole e le altre stelle", anche se si fanno sentire a distanza di secoli le dolorose dissonanze del peccato, della sofferenza e della morte, anche se le tenebre coprono ancora la superficie della terra. Perché un Bambino è nato nel cuore della notte. Reca in mano il globo della terra e l'universo intero. Con lui, il figlio dell'Amore, l'immagine del Padre invisibile, la notte è finita. "Piacque a Dio far abitare in lui ogni pienezza e per mezzo di lui riconciliare a tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli" (Col 1, 19-20).
Ogni creatura quindi è già un roveto ardente dalla fiamma gioiosa e prega e canta la gloria della Trinità di cui è un'espressione particolare di amore. "Cristo è risorto e la vita trionfa; Cristo è risorto e non ci sono più morti nei sepolcri. Alleluja, Alleluja!" La terra è trascinata nella danza eterna.
Ma c'è un'altra danza dei Tre nel mondo e del mondo in Dio, tanto più silenziosa e nascosta, ma anche tanto più intima ed essenziale: la divinizzazione dell'uomo, la "dimora" delle Tre Persone in quelli che amano Gesù: "Se qualcuno mi ama — aveva detto — il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui" (Gv 14,23).
Lo stato di grazia degli amici di Dio è questa invasione dell'anima e del corpo, che trascina con la fede e l'amore nella festa trinitaria. La fede del figlio di Dio raggiunge la realtà divina e l'amore è, fin dal primo istante, permuta, scambio, assimilazione tra l'amico e l'Amato. Lo spirito dell'uomo diventa cosi spirito di Dio; la sua volontà, volontà di Dio; la sua gioia, gioia di Dio. Per riprendere un'immagine cara agli spirituali, è un po' come quando si butta un pezzo di legno nel fuoco. Comincia a far fumo, diventa nero, si mette a scoppiettare, poi improvvisamente diventa fuoco con tale intensità, con tale profondità che non si sa più dov'è il legno, dov'è il fuoco, dov'è il fuoco, dov'è il legno. Così succede all'amico di Dio che possiede la Santa Trinità: egli non vive più; ma Dio in lui e lui in Dio, ed è un'anticipazione della festa del Cielo, quando Dio sarà tutto in tutti. In ogni istante egli nasce da Dio, vive la vita di Dio, conosce Dio come Dio conosce se stesso e lo ama dell'amore con cui Dio ama se stesso, lo Spirito santo. E' sposato con il Verbo e quindi con il figlio diletto nel quale il Padre pone tutta la sua gioia e sul quale riposa lo Spirito.
A questo punto cosa c'è ancora di incredibile se compie l'opera stessa della Trinità, riflette il suo splendore e illumina tutto intorno a sé?


Gesù Caro Fratello

Rovestando ancora tra le tante carte mentre effettuo il trasloco da una parrocchia all'altra, mi è capitato fra le mani questa poesia in romanesco, di cui non ricordo l'autore, non ricordo chi me lo ha dato autore Claudio Baglioni (grazie a Milena "Carmela" Manghisi che l'ha riconosciuta!). La trovo un'espressione genuina di una persona semplice che recepisce la gioia che viene dal Vangelo, e la riporto volentieri (così elimino pure la carta senza perderne i contenuti!):



Gesù caro fratello
venduto pè ricordino
vicino ar Colosseo o dè fianco ar Presidente
cor vestito dè jeans cor fucile
o cor nome tuo pè ammazzà la gente...
Gesù caro fratello mio
che t'hanno fatto
t'hanno sbattuto addosso a 'na croce e poi dimenticato
e tu eri certo troppo bono...
t'hanno detto de sta 'n cielo
assetato dè vita affamato d'amore
quante vorte hai pianto solo solo
però
t'avemo aspettato
t'avemo cercato
t'avemo chiamato
t'avemo voluto
t'avemo creduto
e avemo trovato te, ritrovato te
ne l'occhi de chi spera
ne le rughe de chi invecchia
ne le domeniche de festa
e ner tegame de chi e solo
ne le strade de chi beve
nei sorrisi de chi e matto
ne le manine de chi nasce
e nei ginocchi de chi sta a prega.
ne le canzoni popolari
e ne la fame de chi cià fame
e fu come riavecce la vista dopo mille anni
fu come scopr' più in la nella boscaja folta
er sentiero perduto
er sentiero perduto
fu come quanno la pioggia
tutt'a 'n tratto d'estate ritorna alla terra
fu come 'n giorno de pace
primo giorno de pace finita la guerra
fu come quanno fa bujo
e s'accenne la luce - e s'accenne la luce
Gesù caro fratello ritrovato
restace accanto pè sempre
e cantamo 'nsieme - cantamo 'nsieme
la gioia d'esse vivi
e cantamo le tue immense parole
ama er prossimo tuo come te stesso...

lunedì 30 settembre 2013

Testimonianze dal Carcere

Alcuni anni fa, stavo preparando un incontro con un gruppo di giovani della parrocchia di Santa Galla (per essere precisi, era martedì 6 febbraio 2007!); il tema dell'incontro era lo stesso titolo di questo "post". Difficilmente butto via fogli di incontri preparati, e così ora che mi sto sistemando nella nuova parrocchia e in un nuovo ufficio, questo foglio mi è capitato fra le mani. Mi piace condividerlo, perché è una raccolta interessante; ma metterlo in rete, oltre a condividerlo con gli altri, diventa anche per me un modo per ritrovarlo più facilmente in seguito.


- personaggi biblici
Nella Bibbia troviamo alcuni esempi di innocenti in carcere: Giuseppe il sognatore; i tre giovani Sadràch, Mesàch e Abdènego; Giovanni il Battista; San Paolo (il quale si dà l'appellativo di "prigioniero di Cristo Gesù": Ef 3,1; 4,1; Col 4,3; 2 Tim 1,8; Fil 1,1; 1,9). Per tutti questi, l'esperienza del carcere è stata occasione per vivere l'affidamento nelle mani del Signore.

- Carcere e Conversione (Jacques Fesch)
Non voglio certamente dire che è il carcere in quanto tale a cambiare le persone, anzi. Ritengo però interessante ricordare la testimonianza di un carcerato che ha vissuto un'esperienza di conversione. Jacques Fesch ha avuto un suo incontro personale con Dio mentre incarcerato giustamente per un crimine da lui perpetrato, e ha ritrovato la  sua fede. Jacques Fesch nasce il 6 aprile 1930 a St. Germaine-en-Laye, vicino a Parigi, da una ricca famiglia di origine belga. Educato cristianamente ma debole di carattere e sviato dall'esempio del padre, ateo e cinico banchiere di successo, a 17 anni perde la fede e si avvia verso una giovinezza priva di ideali e di freni morali. A 21 anni sposa civilmente Pierrette Polack, che da lui aspetta un bambino. Dopo il fallimento di vari tentativi sul lavoro, lascia la moglie e la figlia nauseato da una vita senza senso nella quale non riesce a trovare la felicità.
Sogna di evadere dalla realtà soffocante che lo circonda e di andare a navigare nel Pacifico e, per procurarsi il denaro necessario all'acquisto della barca, progetta una rapina ad un cambiavalute. Ma qualcuno dà l'allarme e, nel panico dell'inseguimento, Jacques uccide un agente di polizia e viene arrestato. Comincia cosi un lungo calvario che, dopo tre anni di carcere preventivo, lo porterà alla condanna a morte, il giorno stesso del suo ventisettesimo compleanno, ed infine alla ghigliottina il 1° ottobre 1957, Ma nella solitudine della sua cella Jacques viene toccato dalla grazia e incontra "Colui che instancabilmente attende coloro che ama e che aspettava che io arrivassi, incespicante sotto il peso della mia croce"; incontra l'amore e la misericordia di Dio, e scopre sulla sua persona che la croce di Cristo "è la testimonianza dell'amore di Dio per noi". "Con gli occhi fissi sul Crocifisso" salirà faticosamente la sua via dolorosa per divenire "sempre più a sua immagine", fino ad arrivare con Lui alla cima del Calvario, alla vetta dell'Amore:

"Ho ben meditato la Passione questa mattina e ne ho tratto molta forza. D'altronde bisognerà che mi avvicini un po' più a Gesù crocifisso, poiché anch'io, sebbene del tutto indegno, avrò la grazia di vivere il mio piccolo Golgota." (Diario, 13 settembre 1957).

I suoi scritti dal carcere, pubblicati a partire dagli anni settanta, riveleranno un aspetto insospettato della personalità e dello straordinario cammino di fede di Jacques, suscitando anche numerose conversioni. Il 21 settembre 1987 il Cardinale di Parigi, Jean Marie Lustiger, aprirà l'inchiesta diocesana in vista della beatificazione.

Possiamo ricordare anche Nelson Mandela, che dapprima era un terrorista, poi ha avuto un cambiamento di visione di vita mentre stava nel carcere. Eletto presidente del Sudafrica, ha cercato di incoraggiare la convivenza pacifica aldilà di ogni ideologia o differenza di razza, ha cercato di essere equo verso tutti nella gestione politica del paese. Non un'esperienza specificamente religiosa questa, ma comunque un significativo cambiamento di vita.

- Carcere e Martirio
Il carcere si avvicina al martirio quando è vissuto a testimonianza della fede in Gesù, e chi ne fa esperienza viene considerato un "confessore della fede", uno cioè che confessa non soltanto con le labbra ma anche con la sua stessa vita la fede nel Signore.

San Giovanni della Croce per esempio ha vissuto l'umiliante esperienza del carcere, e per di più da parte dei suoi stessi confratelli. Giovanni nacque nel 1542 a Fontiveros in Spagna; quando aveva 21 anni entrò tra i carmelitani. La vita religiosa del convento non corrispondeva alle sue aspettative, e così pensava di cambiare Ordine, di andare forse tra i Certosini che avevano uno stile di vita più eremitico. Nel 1568 incontrò santa Teresa di Gesù (Teresa di Avila), la quale ha suscitato in lui l'interesse per una riforma del'ordine del Carmelo. I suoi confratelli però si opposero duramente, giungendo persino a metterlo per nove mesi in prigione per cercare di farlo rinunciare alla Riforma. Nel buio del carcere di Toledo egli scrisse i suoi poemi mistici più belli; i suoi scritti successivi più noti, ossia la "Salita al Monte Carmelo", la "Notte Oscura", il "Cantico Spirituale", e la "Fiamma d'Amor Viva", sono dei commentari a quelle sue poesie originarie. I patimenti che dovette ancora sopportare negli anni successivi lo aiutarono ad unirsi ancor più profondamente a Dio e lo condussero alla cima della vita mistica. Morì il 14 dicembre 1591 nel convento di Ubeda. Nell'anno 1726 venne canonizzato e nell'anno 1926 venne proclamato dottore della Chiesa universale.

Possiamo ricordare anche le vittime dei campi di concentramento, tra i quali spiccano alcune figure di santi: San Massimiliano Kolbe (14 agosto 1941), Santa Edith Stein (9 agosto 1942).

Uno di questi testimoni più vicini a noi è il Cardinale François Xavier Nguyen van Thuan, arcivescovo coadiutore di Saigon, ora Hochiminville. Ha trascorso tredici anni in prigione, di cui nove in isolamento, e portò la sua testimonianza davanti alla Curia Vaticana tenendo il corso di esercizi spirituali in Vaticano nell'anno 2000. Egli descrive così la sua esperienza:

"il 15 agosto 1975, festa dell'Assunta, a Hochiminville (già Saigon) sono stato invitato a recarmi al Palazzo della Presidenza, il «Palazzo dell'Indipendenza». Là sono stato arrestato. Erano le ore 14. In quel momento, tutti i sacerdoti, i religiosi e le religiose erano stati convocati al Teatro dell'Opera, allo scopo di evitare ogni reazione da parte del popolo. Inizia così per me una nuova e specialissima tappa della mia lunga avventura. Sono partito da casa vestito con la tonaca, con un rosario in tasca. Durante il viaggio verso la prigione, mi rendo conto che sto perdendo tutto. Non mi resta che affidarmi alla Provvidenza di Dio. Pur in mezzo a tanta ansia, sento una grande gioia: «Oggi è la festa dell'Assunzione della Beata Vergine Maria in cielo». Da quel momento, è vietato chiamarmi «vescovo, padre... ». Sono il signor van Thuan. Non posso più portare nessun segno della mia dignità. Senza preavviso, mi viene chiesto, anche da parte di Dio, un ritorno all'essenziale. Nello choc di questa nuova situazione, a faccia a faccia con Dio, sento rivolgermi da Gesù questa domanda: "Simon, quid dicis de me? - Simone, chi dici che io sia?" (cf Mt 16,15). Nella prigione, i miei compagni, non cattolici, vogliono capire "le ragioni della mia speranza". Ma chiedono, in tutta amicizia e con buona intenzione: "Perché lei ha abbandonato tutto: famiglia, potere, ricchezze per seguire Gesù? Ci deve essere un motivo molto speciale!". I miei carcerieri invece mi chiedono: "Esiste Dio veramente? Gesù? È una superstizione? È un invenzione della classe degli oppressori?". Allora, bisogna dare spiegazioni, in modo comprensibile, non con una terminologia scolastica ma con le parole semplici del Vangelo." Dopo il mio arresto, nell'agosto del 1975, vengo trasportato durante la notte da Saigon fino a Nhatrang, un viaggio di 450 km, in mezzo a due poliziotti. Ha inizio l'esperienza di una vita da carcerato: non ho più orario. Un proverbio vietnamita dice: Un giorno in prigione vale mille autunni in libertà. L'ho sperimentato: in prigione tutti aspettano la liberazione, ogni giorno, ogni minuto. In quei giorni, in quei mesi tanti sentimenti confusi mi arrovellano la mente: tristezza, paura, tensione. Il mio cuore è lacerato per la lontananza dal mio popolo. Nel buio della notte, in mezzo a questo oceano di angoscia, piano piano mi risveglio: "Devo affrontare la realtà. Sono in prigione. Se aspetto il momento opportuno per fare qualcosa di veramente grande, quante volte mi si presenteranno simili occasioni? C'è una sola cosa che arriverà certamente: la morte.Occorre afferrare le occasioni che si presentano ogni giorno, per compiere azioni ordinarie in modo straordinario". Nelle lunghe notti in prigione, mi rendo conto che vivere il momento presente è la via più semplice e più sicura alla santità. Nasce da questa convinzione una preghiera: "Gesù, io non aspetterò; vivo il momento presente, colmandolo di amore. La linea retta è fatta di milioni di piccoli punti uniti l'uno all'altro. Anche la mia vita è fatta di milioni di secondi e di minuti uniti l'uno all'altro. Dispongo perfettamente ogni singolo punto e la linea sarà retta. Vivo con perfezione ogni minuto e la vita sarà santa. Il cammino della speranza è fatto da piccoli passi di speranza. La vita di speranza è fatta di brevi minuti di speranza. Come te, Gesù, che hai fatto sempre ciò che piace al Padre tuo. Ogni minuto voglio dirti: Gesù, ti amo, la mia vita è sempre una "nuova ed eterna alleanza" con te. Ogni minuto voglio cantare con tutta la Chiesa: Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo... ".

Il Cardinale van Thuan ha saputo trarre forza dalla Parola di Dio. Non avendo appresso una copia della Bibbia, riuscì a farsi portare di nascosto da un ragazzo alcuni pezzetti di carta sui quali ha potuto scrivere più di 300 frasi della Sacra Scrittura che si ricordava a memoria. Ci testimonia che "la Parola di Dio, così ricostruita, è stata il mio vademecum quotidiano, il mio scrigno prezioso da cui attingere forza e alimento". Ha saputo vivere l'amore cristiano per i suoi persecutori; la sua affabilità verso i suoi carcerieri li ha conquistati alla fine alla sua amicizia. Ha saputo trovare nel carcere, dice, la sua "più bella cattedrale". Ha vissuto l'abbandono di Gesù sulla croce, ma insieme l'affidamento nelle mani del Padre. Ha sentito la fatica della preghiera, ma ne ha saputo vivere l'essenza nell'abbandonarsi a Dio. Con il Pellegrino russo ha cercato di vivere così una preghiera costante, ha cercato di essere preghiera. Riuscì a farsi portare del vino camuffato da medicina per poter celebrare di nascosto l'Eucaristia e si univa all'offerta di Gesù.


mercoledì 24 luglio 2013

Homily for my Tenth Priestly Anniversary

Manchester NH, April 14th 2013 
“Cast the net over the right side of the boat and you will find something.”
This invitation of Jesus to his first disciples, the apostles, which we have read today from the end of the Gospel of John appears in a similar manner at the beginning of the Gospel of Luke: “Put out into deep water and lower your nets for a catch.” Put out into deep water, “Duc in Altum”: Pope John Paul II echoed this invitation of Jesus at the start of the new millennium, in his apostolic letter "Novo Millennio Ineunte":
At the beginning of the new millennium, and at the close of the Great Jubilee during which we celebrated the two thousandth anniversary of the birth of Jesus and a new stage of the Church's journey begins, our hearts ring out with the words of Jesus when one day, after speaking to the crowds from Simon's boat, he invited the Apostle to "put out into the deep" for a catch: "Duc in altum" (Lk 5:4). Peter and his first companions trusted Christ's words, and cast the nets. "When they had done this, they caught a great number of fish" (Lk 5:6).
Duc in altum! These words ring out for us today, and they invite us to remember the past with gratitude, to live the present with enthusiasm and to look forward to the future with confidence: "Jesus Christ is the same yesterday and today and for ever" (Heb 13:8).
In celebrating the Jubilee year and the start of the new millennium, Pope John Paul reminded us that:
Christianity is a religion rooted in history! It was in the soil of history that God chose to establish a covenant with Israel and so prepare the birth of the Son from the womb of Mary "in the fullness of time" (Gal 4:4). Understood in his divine and human mystery, Christ is the foundation and centre of history, he is its meaning and ultimate goal. It is in fact through him, the Word and image of the Father, that "all things were made" (Jn 1:3; cf. Col 1:15). His incarnation, culminating in the Paschal Mystery and the gift of the Spirit, is the pulsating heart of time, the mysterious hour in which the Kingdom of God came to us (cf. Mk 1:15), indeed took root in our history, as the seed destined to become a great tree (cf. Mk 4:30-32).
It is in this perspective that I would like to live this celebration of my 10th anniversary of ordination the priesthood. We want to celebrate this occasion because we want to remind ourselves that God has rooted himself in our human history, he acts in our lives, in our life stories, and we want to thank Him and praise Him for His wondrous deeds, as did Mary in her song of praise after the annunciation.
I celebrate 10 years of a wondrous deed that God has done in my life, with no merit of my own. He has deigned to make me an instrument of his divine grace in administrating the sacraments, particularly the Eucharist and Reconciliation, but also Anointing of the sick, the sacrament of Baptism, and assisting in the sacrament of Marriage. I would like to remember the graces lived in the Church in these past years, and that I have been able to live closely even geographically, being physically present at special events of our time.
My journey to Rome started in a certain sense in the chapel at St. Anselm College. It was in front of the Blessed Sacrament there that I decided to say yes and undertake this life adventure of joining a new community and traveling to Rome. I was 17 years old, and this was 17 years ago. It was a special time in the Church. I left for Rome in 1996, joining a religious community that took inspiration from St. Maximilian Kolbe, patron of our difficult century. I lived with my confreres in an apartment next to where St. Maximilian had lived while he was studying in Rome, near the Circus Maximus, not far from the Roman Forum or the Coliseum. I started my studies in philosophy at the Angelicum, the same pontifical university that a certain Fr. Karol Wojtyla had studied at a few years before and where he had presented his doctoral thesis on "The question of Faith in St. John of the Cross". Me and my confreres were followed up personally by the then Cardinal Vicar, Camillo Ruini, who invited us in 1997 to enter the Roman Seminary to start our priestly formation. So for the next 6 years of this divine adventure, I lived next to the Cathedral of Rome, the Mother of all Churches, St. John Lateran Basilica, and I continued my studies at the Lateran University. In the meantime, the Church was preparing for the Jubilee Year, and I was able to live the great graces of the Jubilee Year right at the center of the Church. John Paul II had been looking forward to the Jubilee Year since the start of his Pontificate. In the Year of the Family in 1994, he published "Novo Millennio Adveniente", which gave the guidelines for spiritual preparation to the Jubileee Year. He reminded us that "With the Incarnation, God entered human history, eternity entered time: Christ is the Lord of time. In Christianity, time has a fundamental importance. Since God has entered our human time, there arises the duty to sanctify time.", and this is why we celebrate Jubilee years, or priestly anniversaries.
John Paul II saw the Jubilee year as a time of hope for the Church, as a springtime for the Church. In his first Encyclical, Redemptor hominis, he spoke explicitly of the Great Jubilee as a time to be lived as a "new Advent". He saw the Year of Redemption of 1983 and the Marian Year of 1986-1987 as anticipations of the Jubilee Year. The Jubilee Year certainly was a time of grace in the Church, and helps us to remember that we are the christians of the new millenium, we are the christians of a new era in christianity. We are all responsible for the growth and liveliness of the christian community at the start of this millennium, through our example of faith and in listening to God's Word.
Some of the other highlights of Church history that I have lived closely in these past 17 years in Rome, are World Youth Day in Paris in 1997, where Frederic Ozanam, apostle of charity in today's world, was beatified, and Pope John Paul announced that he would soon declare St. Therese of Lisieux a Doctor of the Church. I was then in St. Peter's Square for this celebration on October 19th 1997. Pope John Paul II thus recognized that the writings and the life example of this young girl, a young carmelite nun, could shed new light of understanding of the Gospel. In his homily that day he remembered that:
"Thérèse of Lisieux did not only grasp and describe the profound truth of Love as the centre and heart of the Church, but in her short life she lived it intensely", and that "She counters a rational culture, so often overcome by practical materialism, with the disarming simplicity of the "little way" which, by returning to the essentials, leads to the secret of all life: the divine Love that surrounds and penetrates every human venture. In a time like ours, so frequently marked by an ephemeral and hedonistic culture, this new doctor of the Church proves to be remarkably effective in enlightening the mind and heart of those who hunger and thirst for truth and love". 
This has been one of the landmarks of my own vocational path, the remarkable example of this young carmelite nun and her "little way". John Paul continues:
"The way she took to reach this ideal of life (of working for God's glory, of loving Him and making Him loved) is not that of the great undertakings reserved for the few, but on the contrary, a way within everyone's reach, the "little way", a path of trust and total self-abandonment to the Lord's grace." 
Another highlight that I lived closely was the Beatification of Padre Pio on May 2nd 1999. I was again there present in St. Peter's Square with the crowd of thousands of people that had come from all over the world. John Paul II had met this young and humble capuchin friar personally while he was a student in Rome, and held him in great esteem. Padre Pio had suffered many misunderstandings and was tried in his obedience to the church, but he always showed great humility and deference to his ecclesiastic superiors. He lived an intense experience of the Passion of Jesus present in the Eucharist. I had the grace of being present again at his canonization on June 16th 2002... Because of the great crowd (an estimated 300,000 pilgrims) we were dislocated in the various Basilica's of the city for the ceremony. Padre Pio is yet another example in the past century of a holiness that is possible, of an intense conforming to Christ in the way of the Gospel.
I lived with enthusiasm the organization and realization of World Youth Day in Rome during the Jubilee Year. We welcomed thousands of youth from around the world with many catechetic activities using theatre and song and prayer.
I had the grace of participating in another event, that of the beatification of Mother Theresa of Calcutta on October 19th 2003. Again we have a witness of the light of the Gospel of charity in today's society. In his homily during the celebration, John Paul II remembered that "Mother Teresa, an icon of the Good Samaritan, went everywhere to serve Christ in the poorest of the poor. Not even conflict and war could stand in her way. "
And yet another event I would like to remember, and at which  I was present, is the funeral of Chiara Lubich at the Basilica of St. Paul Outside the Wall on March 18th 2008. In his homily for the celebration Cardinal Tarcisio Bertone remembered that:
The 20th century is dotted with the bright stars of [God's] divine love. Consequently, it should not be remembered solely for the marvellous breakthroughs achieved in the fields of science and technology and for economic progress, which has not eliminated, however, the unjust division of resources and goods between peoples but on the contrary has sometimes even accentuated it. The 20th century will not pass into history merely because of the efforts made to build peace, which unfortunately have not prevented horrendous crimes against humanity, and conflicts and wars that never cease to bathe vast regions of the earth in blood. Although the last century was fraught with contradictions, it is the century in which God brought forth innumerable, heroic men and women who, while they alleviated the wounds of the sick and the suffering and shared the destiny of the little, the poor and the lowly, dispensed the bread of charity that heals hearts, opens minds to the truth and restores trust and enthusiasm to lives broken by violence, injustice and sin. The Church already identifies some of these pioneers of charity as Saints and Blesseds: Fr Guanella, Fr Orione, Fr Calabria, Mother Teresa of Calcutta and even more.
It was also the century when new Ecclesial Movements were born, and Chiara Lubich found room in this constellation for a charism that was quite her own and distinguished her apostolic action. The Foundress of the Focolare Movement, in her own silent, humble style, did not create institutions for social assistance and human advancement, but dedicated herself to kindling in hearts the fire of love for God. She formed individuals who were love itself, who lived the charism of unity and communion with God and with their neighbour; people who spread "love-unity" by making themselves, their homes and their work a "focolare" [hearth] where divine love burns contagiously and sets ablaze all who are close to it. This is a mission possible to everyone because the Gospel is within everyone's reach: Bishops and priests, children, young people and adults, consecrated and lay people, married couples, families and communities, all are called to live the ideal of unity: "that they may all be one!". In the last interview she granted, which was published in the final days of her agony, Chiara said: "The vital sap of the Mystical Body of Christ is the wonder of reciprocal love".
Chiara Lubich and the Focolare movement have had quite an impact on today's society in their concrete way of living the Gospel to the letter, under the protection of Mary, in the fields of economics and politics, in the field of inter-religious dialogue, in reminding us that to be christians means to live in unity embracing the cross and, like Christ on the cross, abandoning ourselves to the loving Will of God the Father.
Yet another great witness of the Gospel that I have had the opportunity of being close to is the Blessed Karol Wojtyla himself. I had the grace of being ordained a priest by his hands on May 11th 2003 in St. Peter's Basilica. I have always felt a close bond Blessed Karol Wojtyla, also from the fact that I was the first young man born under his pontificate to be ordained by him. I was also present in St. Peter's Square the evening of April 2nd 2005, the evening of his passing, praying the rosary with some youth from my parish. I witnessed the crowds of people come from around the world to pay him their respect, the long lines of waiting to visit his casket and pray in his blessed presence, the great service and volunteer work organized in little time to welcome the hundreds of thousands of pilgrims come from around the world. I was present at his funeral celebration in St. Peter's Square on April 8th 2005. Cardinal Ratzinger reflected on that occasion on the words of Jesus to Peter, "Follow me", re-reading the life of Karol Wojtyla in the light of these words. He remembered John Paul II's particular devotion to Mary:
"Divine Mercy: the Holy Father [John Paul II] found the purest reflection of God’s mercy in the Mother of God. He, who at an early age had lost his own mother, loved his divine mother all the more. He heard the words of the crucified Lord as addressed personally to him: "Behold your Mother." And so he did as the beloved disciple did: he took her into his own home" (eis ta idia: Jn 19:27) – Totus tuus. And from the mother he learned to conform himself to Christ.
None of us can ever forget how in that last Easter Sunday of his life, the Holy Father, marked by suffering, came once more to the window of the Apostolic Palace and one last time gave his blessing urbi et orbi. We can be sure that our beloved Pope is standing today at the window of the Father’s house, that he sees us and blesses us."
I was present at the Prayer Vigil at the Circus Maximus with the youth of Rome the evening of April 30th 2011, and at his beatification ceremony in St. Peter's Square on Divine Mercy Sunday, May 1st 2011. It was again Divine Mercy Sunday, one week after Easter. The now Pope Benedict stated in his homily: "Six years ago we gathered in this Square to celebrate the funeral of Pope John Paul II. Our grief at his loss was deep, but even greater was our sense of an immense grace which embraced Rome and the whole world: a grace which was in some way the fruit of my beloved predecessor’s entire life, and especially of his witness in suffering. Even then we perceived the fragrance of his sanctity, and in any number of ways God’s People showed their veneration for him. For this reason, with all due respect for the Church’s canonical norms, I wanted his cause of beatification to move forward with reasonable haste. And now the longed-for day has come; it came quickly because this is what was pleasing to the Lord: John Paul II is blessed! " I remember the great and long applause that broke out in the square at these words.
I was also present in St. Peter's Square the day of the election of Pope Benedict, April 19th 2005, and received his first blessing. I confess however that I was not present in St. Peter's Square for the election of Pope Francis, I watched it on tv this time.
I wanted to remember all these events of grace in the Church that have left a mark on my own priestly path, to remind us all that the Church today is still flourishing, is still alive and vibrant, notwithstanding the difficult times and the trials, the scandals and the contradictions due to human weakness and bad examples that have been contrary to the gospel way of life, there is yet a light of hope. There are many witnesses of holiness in today's world that affirm that the church is holy, and that holiness is possible. There truly is a springtime in the church at the start of this new millennium, and each one of us has the opportunity to partake in this time of grace and be witnesses to the Gospel, on the condition that we "open wide the doors to Christ", that we not be afraid to embrace the cross of Christ, the greatest sign of the love of God the Father towards humanity.
One last though on the priesthood. There is only one true priest, who is Christ himself. He abolished the priesthood of old by offering himself as the sacrificial victim, as we learn from the Epistle to the Hebrews: “In the days when he was in the flesh, he offered prayers and supplications with loud cries and tears to the one who was able to save him from death, and he was heard because of his reverence. Son though he was, he learned obedience from what he suffered; and when he was made perfect, he became the source of eternal salvation for all who obey him, declared by God high priest according to the order of Melchizedek.” (Hebrews 5:7-10), and again “Those priests were many because they were prevented by death from remaining in office, but he, because he remains forever, has a priesthood that does not pass away... He has no need, as did the high priests, to offer sacrifice day after day, first for his own sins and then for those of the people; he did that once for all when he offered himself.” (Hebrews 7:23-24.27) Priesthood in the church is nothing more than a partaking in the priesthood of Christ, for we have nothing more to offer to the Father than His own Body and Blood. Jesus entrusted his misison to his apostles, today we heard in the Gospel the mission entrusted to Peter: “Feed my lambs... Tend my sheep”. Indeed the Good Shepherd who lays down his life for the sheep is the example to which we as priests look and according to which we must strive to live.
Today I give thanks to the Lord for choosing me to be an instrument of his grace in administrating the sacraments and teaching his Word in the local church of the city of Rome. Sometimes the pastoral ministry can risk becoming mechanical, but it is God’s work, it is an experience of grace, and I myself must each day renew my faith and remind myself of who am I, and what it means to be a priest working in the vineyard of the Lord.
I have also had the grace in the past year to start as a pilgrim guide to the Holy Land and to the shrines of Fatima in Portugal and Santiago in Spain, for the diocesan pilgrimage office, which accompanies pilgrims not only from different parts of Italy but at times also from different parts of the world. I have had the grace to walk along the roads that Jesus himself walked on a number of times already, and I hope for many times yet to come. I pray for peace in this land full of contradictions and conflict, and I invite you to do the same, often, incessantly. May there be unity of peoples, of cultures, of religions, accepting to live together in peace and harmony. It may require a miracles, but we all know that miracles can happen, especially if we pray for them with faith and perseverance.
I invite you all to pray for me, that I may continue to persevere and that I may be an instrument of God's grace. (Many ask me if I think of coming back to the Manchester diocese, the thought does cross my mind, and I don't exclude this possibility, but I will continue for the time being in serving in the diocese of Rome, which has become my home for the past 17 years of my life.) May Mary, Mother of God, intercede for me and for us all, and guide us all in conforming ever more to Christ her Son.
Laudetur Iesus Christus.

Omelia in occasione del Decimo Anniversario Sacerdotale

Roma, 11 maggio 2013
Qualche settimana fa, abbiamo ascoltato un invito di Gesù ai suoi apostoli verso la fine del vangelo secondo Giovanni, quandi gli apostoli, dopo la Passione e morte di Gesù, erano tornati a pescare come prima; ebbene Gesù risorto appare a loro e, visto che non hanno successo nella loro impresa, li invita: Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete. (Gv 21,6)
Questo stesso invito di Gesù lo troviamo anche all’inizio del vangelo secondo Luca: “Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca.” Prendi il largo, “Duc in Altum”: questo invito di Gesù lo ha echeggiato il Papa Giovanni Paolo II all’inizio del nuovo millennio, nella sua lettera apostolica "Novo Millennio Ineunte":
All'inizio del nuovo millennio, mentre si chiude il Grande Giubileo in cui abbiamo celebrato i duemila anni della nascita di Gesù e un nuovo tratto di cammino si apre per la Chiesa, riecheggiano nel nostro cuore le parole con cui un giorno Gesù, dopo aver parlato alle folle dalla barca di Simone, invitò l'Apostolo a « prendere il largo » per la pesca: « Duc in altum » (Lc 5,4). Pietro e i primi compagni si fidarono della parola di Cristo, e gettarono le reti. « E avendolo fatto, presero una quantità enorme di pesci » (Lc 5,6).Duc in altum! Questa parola risuona oggi per noi, e ci invita a fare memoria grata del passato, a vivere con passione il presente, ad aprirci con fiducia al futuro: «Gesù Cristo è lo stesso, ieri, oggi e sempre!» (Eb 13,8).
Per celebrare il Giubileo e l’inizio del nuovo millennio, Papa Giovanni Paolo II ci ha ricordato che:
Il cristianesimo è religione calata nella storia! È sul terreno della storia, infatti, che Dio ha voluto stabilire con Israele un'alleanza e preparare così la nascita del Figlio dal grembo di Maria nella « pienezza del tempo » (Gal 4,4). Colto nel suo mistero divino e umano, Cristo è il fondamento e il centro della storia, ne è il senso e la meta ultima. È per mezzo di lui, infatti, Verbo e immagine del Padre, che « tutto è stato fatto » (Gv 1,3; cfr Col 1,15). La sua incarnazione, culminante nel mistero pasquale e nel dono dello Spirito, costituisce il cuore pulsante del tempo, l'ora misteriosa in cui il Regno di Dio si è fatto vicino (cfr Mc 1,15), anzi ha messo radici, come seme destinato a diventare un grande albero (cfr Mc 4,30-32), nella nostra storia.
Ed è in questa prospettiva che vorrei vivere questa celebrazione del mio Decimo Anniversario di ordinazione sacerdotale. Vogliamo celebrare questa occasione, perché vogliamo ricordarci che Dio si è radicato nella nostra storia umana, ed agisce nella nostra vita, nelle storie di vita nostre, e vogliamo ringraziarLo per le sue grandi opere, come ha fatto Maria nel suo inno di lode dopo l’Annunciazione.
Io celebro dieci anni di un’opera meravigliosa che Dio ha fatto nella mia vita, senza alcun merito mio. Si è degnato di farmi uno strumento della sua divina grazia nell’amministrazione dei sacramenti, particolarmente l’Eucaristia e la Riconciliazione, ma anche con l’Unzione degli Ammalati, il Battesimo, e assistendo al sacramento del Matrimonio. Vorrei ricordare gli eventi di grazia avvenuti nella Chiesa in questi anni, e che io, originario di un’altra terra, ho potuto vivere da vicino stando qui a Roma, al centro della vita della Chiesa; ho potuto assistere in persona a degli avvenimenti straordinari nella Chiesa di questo tempo.
Il mio viaggio verso Roma ha avuto inizio quando avevo 17 anni. Dopo aver ricevuto una proposta di partecipare all’inizio di una nuova comunità che si stava fondando a Roma, un giorno, pregando davanti al Santissimo Sacramento dopo aver partecipato alla Messa feriale, ho deciso di dire il mio sì a questo progetto ed iniziare l’avventura di una vita entrando in una comunità nuova e viaggiando verso Roma. Avevo 17 anni, ed è avvenuto 17 anni fa. Era un periodo molto speciale per la Chiesa. Sono partito per Roma nel 1996, per entrare in questa comunità che si ispirava a San Massimiliano Kolbe, il “patrono del nostro difficile secolo” come lo aveva chiamato Giovanni Paolo II. Abitavo con i miei confratelli in un minuscolo appartamento accanto al convento dove San Massimiliano ha vissuto mentre studiava a Roma, in Via di San Teodoro, vicino al Circo Massimo, dietro al Foro Romano. Ho iniziato i miei studi di filosofia all’Angelicum, la stessa università pontificia dove un certo padre Karol Wojtyla aveva studiato qualche anno prima e dove aveva presentato la sua tesi dottorale sulla "Questione della Fede in San Giovanni della Croce". Io e i miei confratelli siamo stati seguiti personalmente dall’allora Cardinal Vicario Camillo Ruini, il quale ci ha invitati nel 1997 ad entrare nel Seminario Romano per iniziare la nostra formazione sacerdotale. E per i prossimi 6 anni di questa divina avventura, ho vissuto accanto alla Cattedrale di Roma, la Madre di tutte le chiese, la Basilica di San Giovanni in Laterano, e ho continuato i miei studi all’università lateranense. Nel frattempo, la Chiesa si stava preparando per l’Anno Giubilare, e ho potuto vivere gli eventi di grazia del Giubileo qui al centro della Chiesa. Giovanni Paolo II aveva iniziato a preparare al Giubileo del 2000 sin dall’inizio del suo Pontificato. Nell’Anno della Famiglia (1994), ha pubblicato la lettera apostolica "Tertio Millennio Adveniente", in cui dava le linee giuda per la preparazione spirituale per l’Anno Giubilare. Ci ha ricordato che:
"con l'Incarnazione, Dio si è calato dentro la storia dell'uomo. L'eternità è entrata nel tempo... Cristo è il Signore del tempo... Nel cristianesimo il tempo ha un'importanza fondamentale... Da questo rapporto di Dio col tempo nasce il dovere di santificarlo..."
Ed è questo il motivo per cui noi celebriamo i Giubilei, o gli anniversari sacerdotali.
Giovanni Paolo II vedeva l’anno giubilare come un tempo di speranza per la Chiesa, una primavera per la Chiesa. Nella sua prima lettera Enciclica, Redemptor hominis, ha parlato esplicitamente dell’anno Giubilare come un tempo da vivere come un “nuovo Avvento”. Vedeva nell’Anno della Redenzione del 1983 e nell’Anno Mariano del 1986-1987 come delle anticipazioni dell’Anno Giubilare. L’Anno Giubilare certamente è stato un tempo di grazia nella Chiesa, e ci aiuta a ricordare che siamo i cristiani del nuovo millennio, siamo i cristiani di una nuova era del cristianesimo. Noi tutti siamo responsabili per la crescita e la vitalità della comunità cristiana all’inizio di questo nuovo millennio, con il nostro esempio di fede e con il devoto ascolto della Parola di Dio.
Alcuni dei momenti salienti della storia della Chiesa che ho potuto vivere in questi anni sono: la Giornata Mondiale della Gioventù a Parigi nel 1997, dove Federico Ozanam, apostolo della carità nel mondo di oggi, è stato beatificato, e Papa Giovanni Paolo ha annunciato che di lì a poco Santa Teresa di Lisieux sarebbe stata dichiarata Dottore della Chiesa. Ero poi presente in Piazza San Pietro per questa celebrazione il giorno 19 ottobre 1997. Papa Giovanni Paolo II ha così riconosciuto che gli scritti e l’esempio di vita di questa giovane ragazza, che si era fatta suora carmelitana, potessero dare nuova luce di comprensione del Vangelo. Nella sua omelia quel giorno ha ricordato che:
"Teresa di Lisieux non solo intuì e descrisse la profonda verità dell'Amore quale centro e cuore della Chiesa, ma la visse intensamente nella sua pur breve esistenza", e che "Ad una cultura razionalistica e troppo spesso permeata di materialismo pratico, ella contrappone con semplicità disarmante la "piccola via" che, rifacendosi all'essenziale delle cose, conduce al segreto di ogni esistenza: la divina Carità che avvolge e permea ogni umana vicenda. In un'epoca, come la nostra, segnata in tanti suoi aspetti dalla cultura dell'effimero e dell'edonismo, questo nuovo Dottore della Chiesa appare dotato di singolare efficacia nell'illuminare la mente ed il cuore di chi è assetato di verità e di amore".
Questa figura di Teresa di Lisieux è stata un punto di riferimento per il mio cammino vocazionale, con la scoperta della sua “piccola via”. Giovanni Paolo continua:
"La strada da lei percorsa per raggiungere questo ideale di vita non è quella delle grandi imprese riservate a pochi, ma è invece una via alla portata di tutti, la "piccola via", strada della confidenza e del totale affidamento alla grazia del Signore. " 
Un altro momento saliente che ho potuto vivere da vicino è stata la Beatificazione di Padre Pio il giorno 2 Maggio 1999. Ero di nuovo presente lì in Piazza San Pietro con la folla di migliaia di persone venute da tutte le parti del mondo. Karol Wojtyla aveva pure incontrato e conosciuto personalmente questo giovane e umile frate cappuccino mentre era ancora studente qui a Roma, ed aveva una stima nei suoi confronti. Padre Pio aveva sofferto tante incomprensioni, ma ha sempre dimostrato grande umiltà e obbedienza alla chiesa. Ha vissuto un’esperienza intensa della Passione di Gesù presente nell’Eucaristia. Ho avuto di nuovo la grazia di essere presente alla sua canonizzazione il 16 giugno 2002; a causa della grande folla (circa 300,000 pellegrini) siamo stati dislocati nelle varie Basiliche della città durante le cerimonia. Padre Pio è ancora un altro esempio nel secolo scorso di una santità possibile, di una conformazione intensa a Cristo nella via del Vangelo.
Ho vissuto con entusiasmo poi l’organizzazione e la realizzazione della Giornata Mondiale della Gioventù a Roma durante l’Anno Giubilare. Abbiamo accolto migliaia di giovani di tutto il mondo con varie attività catechetiche attraverso incontri di teatro, di canto, di preghiera.
Ho avuto la grazia di partecipare anche in un altro evento, quello della beatificazione di Madre Teresa di Calcutta il 19 ottobre 2003. Ancora, abbiamo un esempio della luce del vangelo della carità nella società di oggi. Nella sua omelia durante la celebrazione, Giovanni Paolo II ha testimoniato: “Sono personalmente grato a questa donna coraggiosa, che ho sempre sentito accanto a me. Icona del Buon Samaritano, essa si recava ovunque per servire Cristo nei più poveri fra i poveri. Nemmeno i conflitti e le guerre riuscivano a fermarla. " 
Ancora un altro evento che vorrei ricordare, e al quale ero presente, è il funerale di Chiara Lubich alla Basilica di San Paolo fuori le Mura il 18 Marzo 2008. Nella sua omelia per questa occasione il Cardinale Tarcisio Bertone ha fatto questa riflessione:
Il secolo XX è costellato di astri lucenti di questo amore divino. Non dovrà pertanto essere ricordato solo per le meravigliose conquiste conseguite nel campo della tecnica e della scienza e per il progresso economico che però non ha eliminato, anzi talora ha persino accentuato l’ingiusta ripartizione delle risorse e dei beni tra i popoli; non passerà alla storia solo per gli sforzi dispiegati per costruire la pace che purtroppo non hanno impedito crimini orrendi contro l’umanità e conflitti e guerre che non smettono di insanguinare vaste regioni della terra. Il secolo scorso, pur carico di non poche contraddizioni, è il secolo in cui Dio ha suscitato innumerevoli ed eroici uomini e donne che, mentre lenivano le piaghe dei malati e dei sofferenti e condividevano la sorte dei piccoli, dei poveri e degli ultimi, dispensavano il pane della carità che sana i cuori, apre le menti alla verità, restituisce fiducia e slancio a vite spezzate dalla violenza, dall’ingiustizia, del peccato. Alcuni di questi pionieri della carità la Chiesa li addita già come santi e beati: don Guanella, don Orione, don Calabria, Madre Teresa di Calcutta ed altri ancora. E’ stato anche il secolo dove sono nati nuovi Movimenti ecclesiali, e Chiara Lubich trova posto in questa costellazione con un carisma che le è del tutto proprio e che ne contraddistingue la fisionomia e l’azione apostolica. La fondatrice del Movimento dei Focolari, con stile silenzioso ed umile, non crea istituzioni di assistenza e di promozione umana, ma si dedica ad accendere il fuoco dell’amore di Dio nei cuori. Suscita persone che siano esse stesse amore, che vivano il carisma dell’unità e della comunione con Dio e con il prossimo; persone che diffondano “l’amore – unità” facendo di se stessi, delle loro case, del loro lavoro un “focolare” dove ardendo l’amore diventa contagioso e incendia quanto sta accanto.  Missione questa possibile a tutti perché il Vangelo è alla portata di ognuno: Vescovi e sacerdoti, ragazzi, giovani e adulti, consacrati e laici, sposi, famiglie e comunità, tutti chiamati a vivere l’ideale dell’unità: “Che tutti siano uno!”. Nell’ ultima intervista da lei rilasciata ed apparsa proprio nei giorni della sua agonia, Chiara afferma che “è la meraviglia dell’amore scambievole la linfa vitale del Corpo mistico di Cristo”.
Chiara Lubich e il movimento dei Focolari hanno avuto un grande impatto nella società di oggi con il modo concreto di vivere il Vangelo, sotto la protezione di Maria, nei vari campi dell’economia e della politica, nel dialogo inter-religioso, nello stile di vita che ci ricorda che essere cristiani significa vivere nell’unità, abbracciando la croce, e come Cristo sulla croce, nell’abbandono alla volontà amorosa di Dio Padre.
E un altro testimone del Vangelo che ho potuto toccare con mano è proprio il Beato Karol Wojtyla. Ho avuto la grazia di essere stato ordinato sacerdote dalle sua mani l’11 Maggio 2003 nella Bascilia di San Pietro. Ho sempre sentito uno stretto legame con il beato Karol Wojtyla, forse anche per il fatto che sono stato il primo giovane ordinato sacerdote da lui che è anche nato sotto il suo pontificato. Ero anche presente lì in Piazza San Pietro la sera del 2 Aprile 2005, la sera in cui è venuto a mancare, dove pregavo anch’io il rosario insieme ad alcuni giovani della parrocchia dei Martiri dell’Uganda. Ho potuto poi vedere con i miei occhi le folle immense venute da tutto il mondo in poco tempo per rendergli omaggio, le lunghe file di pellegrini in attesa di pter vedere per pochi secondi la sua bara e pregare alla sua presenza, la meraviglia del grande servizio e volontariato organizzato in maniera efficiente e in poco tempo per accogliere le centinaia di migliaia di pellegrini venuti da tutto il mondo. Ero presente alla celebrazione del suo funerale in Piazza San Pietro il giorno 8 Aprile 2005. Il Cardinale Ratzinger ha riflettuto per l’occasione sulle parole di Gesù a Pietro, "Vieni e seguimi", ri-leggendo tutta la vita di Karol Wojtyla alla luca di queste parole. Ha ricordato anche la particolare devozione mariana di Giovanni Paolo II:
"Divina Misericordia: Il Santo Padre ha trovato il riflesso più puro della misericordia di Dio nella Madre di Dio. Lui, che aveva perso in tenera età la mamma, tanto più ha amato la Madre divina. Ha sentito le parole del Signore crocifisso come dette proprio a lui personalmente: "Ecco tua madre!". Ed ha fatto come il discepolo prediletto: l’ha accolta nell’intimo del suo essere (eis ta idia: Gv 19, 27) – Totus tuus. E dalla madre ha imparato a conformarsi a Cristo.Per tutti noi rimane indimenticabile come in questa ultima domenica di Pasqua della sua vita, il Santo Padre, segnato dalla sofferenza, si è affacciato ancora una volta alla finestra del Palazzo Apostolico ed un’ultima volta ha dato la benedizione "Urbi et orbi". Possiamo essere sicuri che il nostro amato Papa sta adesso alla finestra della casa del Padre, ci vede e ci benedice."
Ero presente alla Veglia di Preghiera al Circo Massimo con i giovani di Roma la sera del 30 Aprile 2011, e alla sua beatificazione in Piazza San Pietro con alcuni parrocchiani di San Lino; era la Domenica della Divina Misericordia, il 1 Maggio 2011. Papa Benedetto disse nell’omelia: "Sei anni or sono ci trovavamo in questa Piazza per celebrare i funerali del Papa Giovanni Paolo II. Profondo era il dolore per la perdita, ma più grande ancora era il senso di una immensa grazia che avvolgeva Roma e il mondo intero: la grazia che era come il frutto dell’intera vita del mio amato Predecessore, e specialmente della sua testimonianza nella sofferenza. Già in quel giorno noi sentivamo aleggiare il profumo della sua santità, e il Popolo di Dio ha manifestato in molti modi la sua venerazione per Lui. Per questo ho voluto che, nel doveroso rispetto della normativa della Chiesa, la sua causa di beatificazione potesse procedere con discreta celerità. Ed ecco che il giorno atteso è arrivato; è arrivato presto, perché così è piaciuto al Signore: Giovanni Paolo II è beato!" Ricordo ancora il grande e lungo applauso scoppiato al pronunciare di queste parole.
Ero presente in Piazza San Pietro anche il giorno dell’elezione di Papa Benedetto, il 19 Aprile 2005, e ho ricevuto la sua prima benedezione papale. (Confesso che non ero presente in Piazza San Pietro per l’elezione di Papa Francesco, questa volta l’ho guardata in televisione.)
Ho voluto ricordare tutti questi eventi di grazie della Chiesa che hanno segnato il mio cammino sacerdotale, per ricordare a tutti noi che la Chiesa oggi è ancora viva, fiorente, e vivace, nonostante che ci siano anche tempi difficili, prove, scandali e contraddizioni dovute alla debolezza umana e a cattivi esempi che sono stati contrari alla via del vangelo; nonostante questi periodi di purificazione nella chiesa, è comunque molta e grande la luce di speranza. Molti sono i testimoni del nostro tempo che affermano con la loro vita che la chiesa è santa, e che la santità è possibile. Veramente c’è una primavera nella chiesa all’inizio di questo nuovo millennio, e ciascuno di noi ha l’opportunità di farne parte, di essere partecipe di questo tempo di grazia ed essere anche noi testimoni del Vangelo, con la condizione che "spalanchiamo le porte a Cristo", e che non abbiamo timore di abbracciare la croce di Cristo, che è il più grande segno di amore di Dio Padre nei confronti dell’umanità.
Un ultimo pensiero sul sacerdozio. C’è un solo vero sacerdote, Cristo. Lui ha abolito il sacerdozio antico offrendo se stesso come vittima sacrificale, come impariamo dalla Lettera agli Ebrei: “Nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito. Pur essendo Figlio, imparò l'obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono, essendo stato proclamato da Dio sommo sacerdote secondo l'ordine di Melchìsedek” (Ebrei 5,7-10), e ancora “quelli sono diventati sacerdoti in gran numero, perché la morte impediva loro di durare a lungo. Egli invece, poiché resta per sempre, possiede un sacerdozio che non tramonta... Egli non ha bisogno, come i sommi sacerdoti, di offrire sacrifici ogni giorno, prima per i propri peccati e poi per quelli del popolo: lo ha fatto una volta per tutte, offrendo se stesso” (Ebrei 7,23-24.27). Il sacerdozio nella chiesa altro non è che una partecipazione al sacerdozio di Cristo, noi infatti non abbiamo altro da offrire al Padre se non l’offerta stessa di Gesù, con il suo Corpo e il suo Sangue. Gesù ha affidato questa missione agli apostoli; sentiamo nel vangelo di Giovanni che affida a Pietro la missione di pascere il gregge. In verità il Buon Pastore che dà la sua vita per le pecore è l’esempio al quale noi come sacerdoti guardiamo e secondo il quale dobbiamo cercare di vivere.
Io oggi faccio il mio rendimento di grazie al Signore per avermi scelto per essere uno strumento di grazie nell’amministrazione dei sacramenti e nell’insegnamento della Parola nella chiesa che si trova in Roma. Qualche volta ci può essere il rischio che il ministero pastorale diventi una cosa quasi meccanica, eppure è sempre un’opera di Dio, un’esperienza di grazia, ed io stesso devo ogni giorno rinnovare la mia fede e ricordarmi che sono, e che cosa significa essere un sacerdote che lavora nella vigna del Signore. 
Ho avuto poi anche questa bella opportunità negli ultimi due anni di iniziare una esperienza come guida di pellegrinaggi per la diocesi di Roma in Terra Santa e ai santuari di Fatima e Santiago. Ho avuto allora più volte la grazie di camminare sulla stesse strade sulle quali Gesù ha cammincato mentre stava sulla terra, e spero di poterlo fare tante volte ancora. Questa esperienza della Terra Santa fa toccare con mano il Vangelo. E prego per la pace in questa terra piena di contraddizoni e conflitti, invito anche voi a fare lo stesso, spesso, con una preghiera incessante. Che ci sia unità di popoli, di culture, di religioni, che accettino di vivere insieme nella pace. Potrebbe richiedere dei miracoli, ma sappiamo tutti che i miracoli sono possibili, specialmente se preghiamo con fede e perserveranza.

E invito voi tutti a pregare per me, che io possa continuare a perseverare e che io possa essere uno strumento della grazia di Dio, ovunque sarà che svolgerò il ministero sacerdotale negli anni avvenire. Che Maria, Madre di Dio, interceda per me e per noi tutti, e ci guidi ogni giorno a conformarci sempre più a suo Figlio Gesù. Sia lodato Gesù Cristo.